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Il trasferimento per incompatibilità ambientale

di Andrea Formisano

Dal trasferimento al trasferimento per incompatibilità ambientale 

Per trasferimento, dal punto di vista del diritto del lavoro, si intende lo spostamento definitivo del lavoratore da un’unità produttiva ad un’altra. Questo avviene soprattutto per decisione del datore di lavoro in quanto, in via unilaterale, decide di spostare un lavoratore definitamente presso un altro luogo per ragioni tecniche organizzative e produttive (art. 2103 co 1 c.c.). Appunto per il suo essere definitivo, il trasferimento si distingue dalla trasferta che non è altro che uno spostamento momentaneo del lavoratore (infatti in questo caso è previsto un’indennità di trasferta) dato che non avviene il mutamento definitivo della sede di lavoro del lavoratore. Per trasferimento per incompatibilità ambientale si intende sempre un mutamento definitivo della sede di lavoro del dipendente ma, a differenza del trasferimento accennato sopra, è dettato da ragioni, anzitutto, organizzative dato che è collegabile in maniera diretta ad un comportamento adottato da un dipendente che crea “disfunzione” all’interno dell’unità produttiva. Infatti se il comportamento del lavoratore crea una disfunzione ed un turbamento alla normale attività dell’impresa, il datore di lavoro, utilizzando il suo potere direttivo, può impartire tale tipo di trasferimento. 

Classificazione trasferimento per incompatibilità ambientale 

Per quanto possa sembrare soggettivo, il trasferimento per incompatibilità ambientale del dipendente è un fatto puramente oggettivo dal momento che il datore non può trasferire un dipendente perché quest’ultimo non risulta "gradito". Anzi il Tribunale di Roma, ha espressamente stabilito (nel caso di specie era un contratto di appalto) l’illegittimità di un trasferimento avvenuto perché il lavoratore non era gradito al Committente nonostante era presente una clausola contrattuale all’interno del contratto che prevedeva questo aspetto. Tale illegittimità è data perché mancano i requisiti oggettivi previsti alla base del trasferimento (ragioni tecniche, organizzativi e produttivi), prevedendo solo il requisito soggettivo (non essere gradito al Committente). Quindi, alla luce di tale ragionamento, si parla di legittimo trasferimento per incompatibilità ambientale quando vi sono prove certe sul turbamento dell’attività aziendale provocato dalla presenza del lavoratore. Tale turbamento ha come conseguenza la disorganizzazione aziendale. Infatti la Corte di Cassazione nella sentenza n.17786/2002 ha affermato che è legittimo trasferire un lavoratore per incompatibilità aziendale qualora tale incompatibilità determini disfunzione e disorganizzazione dell’unità produttiva. Il problema a questo punto, una volta compreso che in determinati casi il datore di lavoro può impartire un trasferimento, sta nel accertare tale incompatibilità legittimando, in tal modo, l’azione datoriale, ossia se esistono le comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive che rendono il trasferimento legittimo. Orbene la stessa Corte ha affermato che basta confrontare se vi è un collegamento tra provvedimento datoriale e le finalità tipiche dell’impresa, essendo sufficiente che il trasferimento si concreti in una delle scelte ragionevoli adottate dal datore di lavoro in base all’art. 41 Cost. che sancisce la libertà di iniziativa economica privata. Un altro aspetto che si deve sottolineare è che il trasferimento per incompatibilità aziendale, dato che riguarda aspetti organizzativi e produttivi, non è un provvedimento disciplinare. Difatti è stata proprio la Corte ha dichiarare l’illegittimità di un trasferimento se quest’ultimo è riconducibile ad esigenze punitive e disciplinari attraverso la sentenza n. 3525/2001. Nè consegue che l’azienda può trasferire il lavoratore per i soli motivi previsti nell’art. 2103 c.c. (quindi per ragioni tecniche ed organizzative) tutelando in tal modo il datore di lavoro attraverso l’art. 41 Cost. ma non potrà mai impartire il trasferimento come punizione al comportamento del lavoratore dato che in tal caso dovrà aprire la procedura disciplinare ex art. 7 L. 300/70 per erogare la sanzione che non potrà mai essere un trasferimento. Anche la sentenza n. 27225/2018 ha confermato che il trasferimento per incompatibilità ambientale non ha natura disciplinare ma è connesso a quelle che sono le esigenze organizzative e produttive dell’azienda e quindi sulla base dell’art. 2103 c.c. In particolare la stessa Corte si sofferma nell’affermare che se l’incompatibilità, che prende forma soprattutto nei rapporti personali contrastanti, sia tale da creare una disorganizzazione e quindi un’obiettiva esigenza dell’azienda a modificare il luogo di lavoro. Con tale sentenza, inoltre, la Cassazione rimarca che tale scelta deve essere dettata sulla base dell’art. 41 Cost. ossia garantire il principio della libertà economica al datore di lavoro.